Uno studio tutto italiano apre la via ad una nuova cura per l'Alzheimer
Una nuova ricerca, tutta italiana, apre la strada ad una nuova cura contro l’Alzheimer.
Secondo i ricercatori infatti non sarebbe nell'ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale dove risiedono le funzioni della memoria, l’area dove si scatenerebbe il morbo responsabile della malattia ma in una zona del cervello che produce la dopamina.
Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è mirato a una patologia che solo in Italia colpisce circa mezzo milione di persone oltre i 60 anni.
Seguendo una accurata analisi morfologica del cervello si è scoperto che quando vengono a mancare i neuroni dell'area che producono la dopamina, si provoca il conseguente malfunzionamento dell'ippocampo. Niente dopamina è uguale a niente memoria. I ricercatori si sono resi conto che la morte delle cellule cerebrali deputate alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell'ippocampo, causandone il 'tilt' che genera la perdita di memoria.
Con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa, indice di un'alterazione patologica dell'umore.
Questi risultati confermano le osservazioni cliniche secondo cui, fin dalle primissime fasi di sviluppo dell'Alzheimer, accanto agli episodi di perdita di memoria, si riscontrano cali di interesse per le attività della vita, mancanza di appetito e del desiderio di prendersi cura di sé, fino ad arrivare alla depressione.
Dunque, secondo gli studiosi, i cambiamenti dell'umore non sarebbero, come si credeva fino ad oggi una conseguenza della comparsa della malattia, ma piuttosto rappresenterebbero un campanello d'allarme dietro il quale si nasconde l'inizio della patologia.
Il prossimo passo sarà la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di scoprire i meccanismi di funzionamento e degenerazione del cervello.
Per ora è abbastanza lontana una cura efficace per l'Alzheimer, ma i risultati della ricerca danno nuova luce e speranza sull'origine stessa della malattia, aprendo così nuove strade per arrivare ad un trattamento efficace e duraturo.
Secondo i ricercatori infatti non sarebbe nell'ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale dove risiedono le funzioni della memoria, l’area dove si scatenerebbe il morbo responsabile della malattia ma in una zona del cervello che produce la dopamina.
Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è mirato a una patologia che solo in Italia colpisce circa mezzo milione di persone oltre i 60 anni.
Seguendo una accurata analisi morfologica del cervello si è scoperto che quando vengono a mancare i neuroni dell'area che producono la dopamina, si provoca il conseguente malfunzionamento dell'ippocampo. Niente dopamina è uguale a niente memoria. I ricercatori si sono resi conto che la morte delle cellule cerebrali deputate alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell'ippocampo, causandone il 'tilt' che genera la perdita di memoria.
Con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa, indice di un'alterazione patologica dell'umore.
Questi risultati confermano le osservazioni cliniche secondo cui, fin dalle primissime fasi di sviluppo dell'Alzheimer, accanto agli episodi di perdita di memoria, si riscontrano cali di interesse per le attività della vita, mancanza di appetito e del desiderio di prendersi cura di sé, fino ad arrivare alla depressione.
Dunque, secondo gli studiosi, i cambiamenti dell'umore non sarebbero, come si credeva fino ad oggi una conseguenza della comparsa della malattia, ma piuttosto rappresenterebbero un campanello d'allarme dietro il quale si nasconde l'inizio della patologia.
Il prossimo passo sarà la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di scoprire i meccanismi di funzionamento e degenerazione del cervello.
Per ora è abbastanza lontana una cura efficace per l'Alzheimer, ma i risultati della ricerca danno nuova luce e speranza sull'origine stessa della malattia, aprendo così nuove strade per arrivare ad un trattamento efficace e duraturo.